Il significato del termine RLS è Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, indica una delle figure previste dal D.lgs 81/08, dandone la seguente definizione “la persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”.
Si tratta di un soggetto la cui nomina è obbligatoria in ogni azienda che abbia almeno un dipendente e, più che di nomina, sarebbe corretto parlare di elezione o designazione, in quanto sono gli stessi lavoratori a sceglierlo secondo modalità diversificate in base alle caratteristiche dell’azienda.
Una volta eletto, al Datore di Lavoro spetta l’obbligo di effettuare la comunicazione all’INAIL, e provvedere alla sua formazione.
Il D.Lgs.81/08 ha introdotto a livello normativo l’incompatibilità tra la funzione di RSPP e quella di RLS i cui compiti e attribuzioni sono previste dall’art.50 D.Lgs.81/08.
La Cassazione Penale, Sez. IV, 19 ottobre 2017 n.48286 si è occupata della definizione dei limiti delle “competenze” del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza sulla base delle attribuzioni previste dall’art.50 D.Lgs.81/08, fornendo preziose indicazioni.
Secondo la Suprema Corte, infatti, le attribuzioni del RLS “sono analiticamente indicate nell’art.50 comma 1 D.lgs 81/08 e rendono “assolutamente chiaro” come quel lavoratore sia chiamato a svolgere, essenzialmente, una funzione di consultazione e di controllo circa le iniziative assunte dall’azienda nel settore della sicurezza; non gli competono certamente quella di valutazione dei rischi e di adozione delle opportune misure per prevenirli e neppure quella di formazione dei lavoratori, funzioni che restano entrambe appannaggio esclusivo del datore di lavoro.”
Riguardo al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza la fonte normativa parla di “attribuzioni” mentre, in relazione alle condotte del datore di lavoro, si parla di “obblighi” . Gli obblighi di vigilanza sui comportamenti dei dipendenti e di precisa presa di coscienza degli eventuali effetti che tali condotte possono avere sull’incolumità fisica degli operai incombono in prima persona sull’imprenditore.
Una seconda pronuncia della Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 settembre 2012 n. 16474, cerca di definire fino a che punto il datore di lavoro può presumere che l’RLS conosca i rischi lavorativi allorché questi operi in contesti esterni/estranei? Il ruolo del RLS nell’ambito dell’attività propria della azienda non esonera l’amministratore dell’azienda dall’informare puntualmente i lavoratori dei rischi specifici ricollegabili alla disposta ed assolutamente contingente attività.
Arriviamo alla sentenza del 25 settembre 2023 con cui la Corte di Cassazione ha per la prima volta attribuito al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) la responsabilità dell’omicidio di un lavoratore «per aver omesso di promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori, di sollecitare il datore di lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti … e di informare i responsabili dell’azienda dei rischi connessi all’utilizzo, da parte del C.C., del carrello elevatore».
Si tratta di una sentenza che capovolge la logica dell’attribuzione della responsabilità dell’elaborazione e dell’applicazione dei sistemi di sicurezza che, finora, com’è noto, gravava sul datore di lavoro e i suoi collaboratori.
L’art. 50 del D.lgs 81/2008, definisce le “attribuzioni“, quindi i compiti del RLS, riassumibili con i verbi: accede, è consultato, riceve informazioni, promuove, formula osservazioni, partecipa, avverte, ecc.
Nella motivazione la Suprema Corte mostra di ritenere che l’art. ’50 D.lgs. n. 81 del 2008 attribuisca al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza. Per la Corte non è importante stabilire se l’imputato ricoprisse o meno una posizione di garanzia come titolare di un dovere giuridico di garantire condizioni di sicurezza, quanto piuttosto se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente con il suo comportamento alla verificazione dell’evento.
Le controversie nascono dal percorso giuridico che riassumo in queste poche righe della Corte di Appello di Bari.
“Ritiene la Corte del tutto condivisibili le conclusioni cui perveniva il Tribunale di primo grado [di Trani] in merito alla sussistenza in capo allo S. della posizione di garanzia e dunque della ipotizzabilità a suo carico di una cooperazione colposa nella condotta omissiva posta in essere dal legale rappresentante dell’azienda [parimenti condannato, ma con una sanzione più elevata] rivestendo non solo il ruolo di [rappresentante] dei lavoratori per la sicurezza ma anche di membro del Consiglio di Amministrazione della S*** S.r.l.“.
In sostanza, la sentenza di condanna della Corte di Appello scaturisce dalla doppia natura di RLS e membro del CdA, quindi non di “solo” rappresentante dei lavoratori. Pertanto fino al secondo grado la base della condanna era fondata sul fatto che il RLS veniva condannato in qualità (anche) di membro del CdA, quindi in quanto detentore di una posizione di garanzia.
Quali novità allora ha apportato la sentenza della Corte di Cassazione? Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione aggiunge alcune note alla motivazione, che comunque hanno un preciso significato.
“Come è noto, l’art. 50 D.lgs. n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.“
È bene precisare che, nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. c.p.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p.
Sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa del RLS nel delitto di cui trattasi.
Richiamati i compiti attribuiti dall’art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il lavoratore infortunato fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal RSPP dell’azienda.
A prescindere quindi dal “percorso giuridico” della sentenza e dal modo in cui si è costruita la sentenza di condanna, un aspetto importante è rappresentato dal fatto che la Corte di Cassazione ritiene come l’elemento di maggior “rilievo” (quand’anche non fosse la causa della condanna, né della sua conferma) non sia tanto da individuare nella sua posizione di garanzia (derivante ad es. dalla sua appartenenza al Consiglio di Amministrazione), bensì nel fatto di non avere ottemperato ai propri compiti.
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