La sentenza CEDU relativa alla installazione di sistemi di videosorveglianza nascosti sul luogo di lavoro alla luce delle specificità della normativa italiana (ma quale rivoluzione!)
Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere una sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo chiamata a giudicare circa la legittimità del comportamento posto in essere da un datore di lavoro spagnolo che aveva provveduto nel 2009 ad installare un impianto di videosorveglianza senza rendere ai lavoratori preventiva informazione.
Nella fattispecie, il datore di lavoro di un supermercato spagnolo aveva scelto di installare tale impianto, a causa dei continui furti che implicavano per l’azienda ingenti perdite. Grazie alle telecamere installate (sia visibili alle uscite che nascoste a puntare le casse), fu possibile per l’azienda scoprire continui furti di merce da parte del personale, che portarono a 14 lettere di licenziamento per motivi disciplinari tra cassieri o addetti alle vendite, colti “con le mani nel sacco”.
Con la sentenza 17 ottobre 2019 (sui ricorsi 1874/13 e 8567/13) la Corte di Strasburgo ha concluso che non c’è stato alcun illecito nell’ambito del comportamento del datore di lavoro che per scoprire i responsabili di furti si era avvalso di telecamere nascoste.
Molti autorevoli quotidiani nazionali, nonché molti siti specializzati nell’affrontare tematiche connesse alla legislazione in materia di privacy-GDPR ed agli aspetti tecnici riconducibili alla videosorveglianza, hanno presentato la notizia come se la sentenza stessa costituisse un via libera alla installazione indiscriminata di telecamere nei luoghi di lavoro ubicati in Italia, trascurando di sottolineare il fatto che in Italia la materia è regolamentata da norme specifiche.
Lo Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) all’articolo 4 (recentemente modificato dal Jobs-Act) infatti, consente l’utilizzo di tali impianti per esigenze organizzative, produttive, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, ma subordina la possibilità di installare tali attrezzature alla stipula di specifico accordo sindacale o alla autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato del lavoro.
Sempre la L. 300/1970 prevede nell’ipotesi di installazione o impiego illegittimo di impianti di videosorveglianza o di controllo a distanza dei lavoratori: ai sensi dell’art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 151/2015, dell’art. 38 della Legge n. 300/1970 e degli artt. 114 e 171 del D.Lgs. 196/03, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, l’ammenda da 154 euro a 1.549 euro o l’arresto da 15 giorni a 1 anno. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente. Quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace, anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.
Concludiamo quindi, sottolineando l’importanza di seguire le indicazioni che provengono dalla normativa specifica italiana in materia di videosorveglianza nei luoghi di lavoro onde evitare di incappare in spiacevoli sanzioni.
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