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Sars-Cov 2: responsabilità del datore di lavoro alla luce della Circolare INAIL n. 22 del 20 maggio 2020.

27 Maggio 2020 di Dario Leotti Lascia un commento

A causa delle pesanti incertezze inerenti le responsabilità dei datori di lavoro in conseguenza all’eventualità che un lavoratore contragga il Sars-Cov 2, l’INAIL, con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, ha cercato di fare un po’ di chiarezza.

L’Istituto ha innanzitutto ribadito quanto già riferito dalla Circolare del 3 aprile 2020 n. 13, affermando che l’infezione da Sars-Cov 2 è tutelata, alla stregua di ogni altra malattia infettiva contratta in occasione di lavoro, come infortunio sul lavoro.

Laddove cioè, il medico certificatore rediga un certificato di infortunio e lo invii telematicamente all’INAIL, quest’ultimo ente garantisce come di consueto la tutela dell’infortunato (ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’INAIL) dopo aver valutato tutti gli elementi acquisiti d’ufficio, quelli forniti dal lavoratore nonché quelli prodotti dal datore di lavoro, in sede di invio della denuncia d’infortunio (contenente tutti gli elementi utili sulle cause e circostanze dell’evento denunciato). L’indennità al lavoratore copre, nel caso dell’attuale emergenza sanitaria, anche il periodo della quarantena e della permanenza domiciliare fiduciaria.

Oltre a ciò l’INAIL ha confermato che il contagio di un lavoratore non viene computato ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico applicata all’azienda, ma grava sulla gestione assicurativa nel suo complesso, senza cioè che il fatto determini maggiori oneri per l’impresa assicurata. L’INAIL ha precisato che il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non è automatico, ma si fonda su un giudizio di ragionevole probabilità o di presunzione semplice (e non potrebbe essere altrimenti) ed è totalmente dissociato da ogni valutazione inerente il rispetto delle misure di sicurezza anticontagio da parte del datore di lavoro.

L’azione di regresso dell’Istituto (che in altri casi può costringere il datore di lavoro a metter mano al portafogli) non potrà basarsi sul riconoscimento dell’infezione da SarsCov-2 del lavoratore, poichè in assenza di una comprovata violazione delle misure di contenimento del rischio di contagio indicate dai provvedimenti governativi e regionali, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.

Chiarito che l’indennizzo per il lavoratore contagiato in occasione di lavoro è garantito e chiarito che il datore di lavoro non pagherà un premio assicurativo maggiorato, occorre non dimenticare che il diritto alle prestazioni non costituisce presupposto per l’accusa in sede penale o in sede civile, poiché non sussiste coincidenza fra le logiche che governano l’azione di tutela assicurativa e l’azione giudiziaria. Le responsabilità penali e civili, infatti, devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto agli indennizzi INAIL. Nell’azione civile e penale oltre alla prova del nesso di causalità (che è richiesta anche per indennizzare il lavoratore iscritto all’INAIL), occorre anche quella dell’imputabilità, quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro. Si può quindi affermare che la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali. In assenza di una comprovata violazione di tali precetti il datore di lavoro dovrebbe poter “dormire sonni tranquilli”.

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