Le principali ipotesi di contenzioso legate all’emergenza Coronavirus saranno legate alle richieste risarcitorie da parte dei lavoratori che hanno contratto il COVID-19. Si evidenzia che è in discussione in Parlamento la proposta di introdurre una manleva per il datore di lavoro in relazione a responsabilità penali e conseguenti richieste risarcitorie connesse a contagi da Coronavirus: tuttavia non sappiamo se e quando la proposta potrà venir approvata.
Quando si parla di risarcimenti per infortuni o malattie sul lavoro, bisogna partire dal quadro normativo di riferimento INAIL: T.U. 1124/65 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965 e art. 13 Decreto Legislativo numero 38 del 2000, che prevedono il sistema di assicurazione pubblica con funzione indennitaria e non risarcitoria con il preciso intento di liberare rapidamente il lavoratore dallo stato di bisogno conseguente all’infortunio o alla malattia.
L’indennizzo INAIL per i contagi da Coronavirus nel luogo di lavoro viene riconosciuto, a fronte della certificazione medica, dal primo giorno di contagio oppure dal primo giorno della quarantena fino a guarigione clinica. Il datore di lavoro ha l’obbligo di denunciare l’infortunio e il medico ha l’obbligo di trasmettere il certificato di infortunio
La logica indennitaria comporta che il risarcimento corrisposto da parte dell’INAIL sia solo raramente esaustivo, mentre facilmente il lavoratore, con riferimento alle tabelle risarcitorie dei Tribunali, tenterà di ottenere ulteriori importi a titolo del cd. “danno differenziale”, essendo possibile e probabile che l’indennizzo INAIL sia inferiore rispetto al danno civilisticamente risarcibile.
In caso di infortunio o malattia professionale, il lavoratore in via preliminare e pregiudiziale sarà tenuto ad avviare il procedimento risarcitorio nei confronti dell’INAIL, e solo all’esito positivo di tale domanda in caso di colpa o violazione di legge del datore di lavoro potrà agire per l’eventuale danno differenziale che dovrà essere determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo, da liquidarsi secondo le tabelle dei Tribunali, quello delle prestazioni previdenziali erogate dall’INAIL, al fine di evitare un’ingiustificata duplicazione del risarcimento.
In materia di trattazione delle malattie infettive e parassitarie, già dal 23 novembre 1995 con la circolare n. 74 l’INAIL aveva disposto, tra l’altro, di trattare i casi di epatite virale a trasmissione parenterale e di AIDS come infortuni sul lavoro.
Da evidenziare che le malattie professionali riconosciute sono tutte catalogate in apposite tabelle approvate con Decreto ministeriale (quello vigente è del 10 giugno 2014) e vengono pertanto definite malattie “tabellate” (o tecnopatie). Tuttavia in merito vi sono stati interventi della Corte Costituzionale, sentenze n. 179/88 e 206/88 che ha ritenuto che il lavoratore possa dimostrare la possibile origine lavorativa della malattia da cui è affetto anche se questa non è compresa tra le malattie professionali elencate nelle apposite tabelle di legge.
La nota dell’INAIL,n. 3675 del 17 marzo 2020, riferita alle figure sanitarie, nonché al personale dipendente di strutture sanitarie,ha chiarito che il contagio dei lavoratori esposti al contagio da Coronavirus è riconducile ad un infortunio sul lavoro e le conseguenti affezioni morbose devono essere istruite e trattate come infortunio e non come malattia professionale. Per questi profili di lavoratori, il riconoscimento dell’indennizzo è applicabile anche all’infortunio in itinere, avvenuto nel tragitto casa-lavoro.
Sulla stessa falsariga anche la successiva circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020 ove viene riconosciuta la tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da Coronavirus in occasione di lavoro, anche al di fuori dei profili sanitari, così riconoscendo che tutti i casi accertati di COVID-19 sono equiparati agli infortuni sul lavoro se il contagio è avvenuto durante l’attività lavorativa o in itinere.
In questa prima fase di emergenza Coronavirus, la copertura assicurativa è stata resa agevole dal D.L. 18 del 2020, il c.d. Cura Italia, che all’art. 42 ha esplicitamente previsto la tutela assicurativa dell’INAIL anche ai “casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro“. A seguito di tale previsione l’INAIL, con la già richiamata circolare n. 13 del 3 aprile 2020 ha fornito indicazioni in merito alle prestazioni garantite ai soggetti contagiati nell’ambiente di lavoro, o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa.
L’ambito di tale tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari, considerata l’alta probabilità che questi vengano a contatto con il virus. Ma lo stesso principio si applica anche ad altre categorie che operano in costante contatto con l’utenza, tra cui i lavoratori impiegati a contatto con il pubblico ed alla cassa, i lavoratori delle pulizie e impiegati nelle sanificazioni, gli addetti alle vendite/banconisti, il personale non sanitario degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, del trasporto infermi ed altri.
Alla luce di tutto quanto sopra, dunque, per gli operatori sanitari e le altre categorie di lavoratori richiamate opera la presunzione di origine professionale del contagio da coronavirus. Per gli altri lavoratori non sussiste la presunzione e saranno loro a dover dimostrare in modo inequivocabile che il contagio è avvenuto per causa della mansione svolta.
Occorre evidenziare come l’INAIL abbia espressamente riaffermato come il riconoscimento dell’indennizzo per infortunio legato a contagio da Coronavirus non determina automaticamente la responsabilità penale del datore di lavoro. La decisione sulla sussistenza o meno della responsabilità penale del datore di lavoro competerà unicamente al Giudice, a seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero.
Appare chiaro come la difesa dell’imputato datore di lavoro avrà come fondamentale strumento difensivo l’adozione delle misure anti-contagio effettivamente adottate dal datore di lavoro.
Il lavoratore che intenda ricevere un risarcimento da parte del datore di lavoro, dovrà dimostrare non solo di aver contratto il virus sul lavoro, ma dovrà anche dimostrare che tale patologia gli ha provocato postumi permanenti ed una riduzione della capacità dell’integrità psico-fisica, documentando le mansioni svolte (che hanno causato l’esposizione) ed individuando concrete occasioni di contagio.
Responsabilità connesse al Coronavirus
Le responsabilità connesse alla pandemia in corso sono ravvisabili sia in capo al datore di lavoro quale persona fisica, sia in capo all’azienda, nel panorama della responsabilità amministrativa dell’ente derivante da reato ex D. Lgs. n. 231/2001.
Responsabilità dell’Impresa “231”
L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. Nel contesto legato all’emergenza Coronavirus, queste ipotesi si configurano, ad esempio, in un risparmio sui dispositivi di protezione (vantaggio), o per la decisione di proseguire comunque la propria attività senza rispetto delle regole imposte dalle Ordinanze della P.A. (interesse).
I reati in relazione ai quali può configurarsi la responsabilità nell’ente nell’ambito del contagio da Coronavirus sono i seguenti: (i) Reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione; (ii) Delitti contro l’industria e il commercio; (iii) Reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro (omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime); (iv) Reati tributari.
In questo contesto, preme evidenziare come l’adozione da parte dell’ente di un idoneo ed efficace Modello di Organizzazione e Gestione, oltre a conferire un indubbio plusvalore in termini di immagine e credibilità, varrebbe utilmente all’esclusione della responsabilità amministrativa derivante da reato, insieme alla nomina di apposito Organismo di Vigilanza che vigili sulla applicazione del Modello.
Le responsabilità degli operatori
le principali figure professionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro sono le seguenti: (i) lavoratore; (ii) datore di lavoro; (iii) dirigente; (iv) preposto; (v) responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP); (vi) medico competente (MC).
E’ compito del datore di lavoro, con il supporto specialistico del Servizio di Prevenzione e Protezione e del suo Responsabile, con la collaborazione attiva del Medico Competente effettuare la valutazionedel rischio biologico da contagio COVID-19 ed adottare le conseguenti misure di prevenzione per tutelare i propri dipendenti, con eventuale implementazione nel Documento di Valutazione dei Rischi.
Di particolare rilevanza la classificazione dell’attività ai sensi del Titolo X del D.Lgs 81/08, “Esposizione ad agenti biologici”, con la distinzione tra le attività “a rischio” di natura professionale per le quali è indispensabile la redazione ed aggiornamento del DVR, da quelle a rischio casuale ma significativo, come i lavoratori impiegati a contatto con il pubblico ed alla cassa, i lavoratori delle pulizie e impiegati nelle sanificazioni, gli addetti alle vendite/banconisti, con quelle a basso rischio, per i quali è sufficiente la profilazione del rischio del contagio da COVID-19 e l’elencazione delle misure di tutela ed attenuazione del rischio, classificabile come “ rischio biologico”, inteso come rischio indiretto da esposizione non deliberata ad agenti chimici e non per l’uso deliberato di specifici agenti biologici.
In alternativa, i datori di lavoro sono comunque chiamati ad integrare e rafforzare le ordinarie indicazioni igieniche mediante la predisposizione di piani di intervento specifici.
Per quanto concerne, invece, i Preposti, questi sono chiamati ad assicurare la corretta applicazione, da parte di tutti i lavoratori dipendenti, delle prescrizioni adottate dall’Azienda, ed il rispetto dei Protocolli validati. In particolare sarà compito dei preposti vigilare sul puntuale rispetto:
- delle misure preventive adottate per aumentare il livello di sicurezza all’interno della sede della Società e contenere il rischio di contagio, l’uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI);
- delle procedure di gestione di casi specifici e, in particolare, un piano di emergenza in caso di contagio da Coronavirus;
- dell’obbligo di informare tutti i lavoratori relativamente ai rischi da contagio e ai comportamenti da adottare;
- dell’obbligo di osservare la distanza minima di sicurezza (1 mt.);
- delle prassi igieniche comunemente utilizzate e l’uso di igienizzanti;
- delle misure di coordinamento con i soggetti terzi (fornitori, appaltatori) che hanno accesso al sito.
In caso di comportamenti negligenti o difformi rispetto alle indicazioni, ricade sui medesimi l’obbligo di segnalarlo immediatamente all’azienda, che dovrà sanzionarli tempestivamente.
Per quanto concerne la figura del Medico Competente, il Ministero della Salute in data 29/04/2020ha pubblicato la circolare descrittiva di tale ruolo in rapporto al Coronavirus, con esplicito riferimento al “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 14 marzo 2020, nel quadro normativo del D.lgs. 81/2008 e s.m.i., per l’adozione di un approccio integrato alla valutazione e gestione del rischio connesso all’attuale emergenza pandemica con l’indicazione delle attività di prevenzione nei luoghi di lavoro, sia nella fase di “lockdown” sia nella fase di riapertura delle attività produttive.
Nell’attuale momento di emergenza pandemica, il Medico Competente va a confermare il proprio ruolo di “consulente globale” del datore di lavoro. “Nel contesto generale di riavvio della attività lavorative in fase pandemica, è opportuno che il medico competente che,ai sensi dell’art. 25 del citato D.lgs. 81/2008 e s.m.i. ha, tra i suoi obblighi, quello di collaborare con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, supporti il datore di lavoro nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione già richiamate nel menzionato Protocollo”.
Un particolare coinvolgimento del medico competente deve essere previsto nell’attività di collaborazione all’informazione/formazione dei lavoratori sul rischio di contagio da SARS-CoV-2.
Infine, con riferimento all’RSPP, tale figura si interfaccia con il datore di lavoro per la gestione delle Misure di Prevenzione e Protezione e collabora all’elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi, nonché nella programmazione della formazione.
Ricordiamo che l’RSPP non è gravato di ipotesi sanzionatorie dirette dalla normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro ex D.Lgs 81/08, ma è pur sempre chiamato a rispondere per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di legge nello svolgimento del suo incarico professionale.
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