ossia come gestire i bisogni di sicurezza, chiarezza ed efficienza dei nostri dipendenti?
Come abbiamo visto parlando di “Neuromanagement”, ovvero come gestire i collaboratori partendo dalle caratteristiche fisiologiche della mente umana, il nostro cervello è costituito da 3 parti (il cervello rettile, quello mammifero e la neocorteccia) ed esse entrano tutte in gioco nella conduzione della nostra vita lavorativa, a partire proprio dal cervello primordiale, che è il primo ad attivarsi di fronte agli eventi.
E’ molto importante quindi comprendere in primis le sue necessità, in modo da orientare i manager sulle azioni più efficaci da intraprendere per gestire i collaboratori tenendo conto della componente più “primitiva” del nostro essere.
Come dimostrano le ricerche il cervello rettile è istintivo e vuole che i suoi bisogni primari siano appagati il prima possibile: esso non ha tempo, va di fretta e si muove per garantire sopravvivenza, sicurezza e la salute.
Il nuovo contesto lavorativo
Il problema è che il contesto lavorativo nel quale ci muoviamo ha subito dei repentini cambiamenti nel corso degli ultimi anni, e dunque mette a dura prova questi bisogni: pensiamo ad esempio ai processi di globalizzazione o all’uso massiccio delle nuove tecnologie.
Una prima conseguenza di questi cambiamenti è che nelle grandi aziende spesso il lavoratore fatica a vedere tutto l’iter produttivo, ma è consapevole solo di un piccolo pezzo del “puzzle”: il cervello rettile, al contrario, ha bisogno di fare esperienza e di toccare con mano il lavoro e tutti i suoi processi, per avere la situazione sotto controllo. In tal senso diventano molto importanti tutte quelle iniziative aziendali che fanno conoscere l’intero il processo produttivo ai dipendenti, limitando anche le situazioni di conflitto tra diversi gruppi.
Negli anni di esperienza consulenziale, ad esempio, mi viene in mente quando si creano situazioni di scarsa cooperazione tra le unità aziendali (un classico – tra l’amministrazione e le vendite) poiché vi è difficoltà a comprendere le reciproche necessità. In questi casi, ad esempio, è possibile facilitare il dialogo attraverso la creazione di momenti di affiancamento reciproco tra lavoratori che appartengono a diversi gruppi o favorire momenti di riunione collettiva, per parlare dei problemi e trovare soluzioni condivise.
Un secondo problema riguarda la rapidità con cui i processi aziendali si sono velocizzati, unitamente, in molti casi, alla loro instabilità: il cervello rettile ha bisogno, invece, di semplicità per poter agire velocemente. Ben vengano, dunque, tutte le attività aziendali che consentono di “fare chiarezza” nell’esecuzione dei compiti quotidiani, come la creazione di vademecum operativi per le attività più complesse, istruzioni d’uso, FAQ etc.
Questa velocizzazione si riflette, aimè, anche molto nel modo in cui comunichiamo attraverso le nuove tecnologie: dobbiamo ricordare che il nostro primo obiettivo quando inviamo un messaggio “digitale”, utilizzando ad esempio una chat aziendale o un’email, è che il nostro messaggio venga recepito positivamente a livello emotivo, non generando stati di insicurezza o timori, in modo che, successivamente, il suo contenuto venga elaborato e compreso grazie alla neocorteccia.
Le regole dell’empatia digitale
Si tratta, in sostanza, di mettere in pratica le regole della cosiddetta “empatia digitale” che consiste nell’esprimere il proprio messaggio tenendo conto dei “bisogni emotivi” dell’altra persona, una sfida più complessa nel momento in cui non possiamo vedere il nostro interlocutore poichè operiamo da remoto.
In questo caso ciò che dobbiamo fare è prenderci il tempo utile per esprimere in modo chiaro e concreto il nostro messaggio, evitando espressioni oscure o ambigue. Proviamo prima a porci la domanda “cosa voglio che il mio dipendente faccia dopo aver letto questa comunicazione?”: ci aiuterà ad impostare meglio i contenuti del messaggio.
In secondo luogo, evitare di inviare lo stesso messaggio in simultanea utilizzando diversi canali di comunicazione (“prima ti contatto in chat, poi ti chiamo, poi ti mando un’email etc”): questo comportamento genera ansia e stress in chi riceve le comunicazioni, tutte emozioni negative che allarmano il cervello rettile e tolgono energie preziose all’elaborazione dei contenuti del messaggio!
Terza regola: ricordiamoci che le email sono uno strumento di comunicazione più “formale” a differenza delle chat, per cui l’impatto emotivo (“senso di allarme”) di un messaggio inviato via email sarà di certo più forte di un messaggio in chat: in tal senso, è bene utilizzare le email nelle situazioni che davvero necessitano di formalità, o dove il messaggio deve raggiungere un alto numero di interlocutori.
Infine, un ultimo aspetto da considerare è, vista la necessità del cervello primordiale di appagare il bisogno di “sicurezza”, la percezione di stabilità nell’occupazione rappresenta un fattore in grado di mitigare molto lo stress. In un momento di forti transazioni e cambiamenti come quello che stiamo vivendo, dunque, dedicare del tempo per comunicare ai propri lavoratori le prospettive di sviluppo future dell’azienda diventa quindi di estrema importanza.
Lascia un commento