E’ di questi giorni la notizia che quindici infermieri dell’ospedale San Martino di Genova, i quali si erano rifiutati di fare il vaccino, sono risultati positivi al Covid.
Il direttore generale dell’Ospedale, Salvatore Giuffrida, si è a tal proposito rivolto all’INAIL, ponendo un quesito che potrebbe essere così sintetizzato: è infortunio sul lavoro anche se non hanno fatto il vaccino che avrebbero potuto fare (con le conseguenze che ciò determinerebbe)?
La questione non è banale. Si tratta di capire se questi lavoratori vadano considerati in malattia o in infortunio. Anche perché in questa seconda ipotesi l’INAIL dovrebbe sborsare i relativi risarcimenti per infortunio sul lavoro.
Occorre a tal proposito ricordare, che l’art. 42, comma 2, del Decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 (cd. Cura Italia) convertito in Legge n. 27 del 24 aprile 2020, ha equiparato, le tutele previste per i casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro, a quelle già previste per i più comuni infortuni.
Con la circolare n. 13/2020 l’INAIL ha poi introdotto una “presunzione semplice di origine professionale del contagio da Covid-19 operante a favore di alcune categorie di lavoratori, sulla scorta del fatto che, su di essi, insisterebbe una maggiore esposizione al rischio in ragione delle particolari mansioni cui sono adibiti”. Fra queste categorie di lavoratori sono ricompresi come è ovvio gli operatori del settore sanitario (il 39,2% delle denunce ricevute dall’INAIL per casi di contagio, riguarda proprio questo tipo di lavoratori).
Ciò significa che il lavoratore può ricevere la copertura assicurativa INAIL, mentre il suo datore può avere conseguenze dal punto di vista penale e civile per i reati di lesioni o di omicidio colposo, nel caso di decesso. Da non sottovalutare che al di là dell’aspetto risarcitorio, le figure apicali di una struttura sanitaria, potrebbero trovarsi a rispondere delle responsabilità che discendono dal contagio dei propri dipendenti, nel caso in cui si accertasse che l’ente non abbia seguito le indicazioni finalizzate alla prevenzione ed alla protezione dal rischio di contagio (tra queste ad es. l’utilizzo di DPI adeguati).
Sul tema va registrata l’opinione del consigliere d’amministrazione Inail ed ex ministro del Lavoro Cesare Damiano, che intervistato dal Corriere della Sera pur sottolineando di parlare a titolo personale, ha dichiarato di ritenere “logico che chi decide di non vaccinarsi e svolge una mansione a rischio poi non possa chiedere il riconoscimento dell’infortunio sul lavoro.
Bisogna osservare che il quadro non è così semplice da interpretare alla luce di alcuni elementi.
In primo luogo occorre tenere in debita considerazione il fatto che ad oggi nessuno può obbligare o vincolare gli operatori del settore sanitario a vaccinarsi per il Covid-19. L’art. 32 della Costituzione prevede infatti che nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Oltre a ciò occorre considerare che il Garante per la privacy ha confermato pochi giorni fa che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti se si sono vaccinati oppure no. E nemmeno può richiedere tale informazione al medico competente (il quale può trattare i dati relativi alla vaccinazione dei dipendenti e tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica). Ciò rende difficile comprendere come possa il datore di lavoro, di un’azienda operante nell’ambito sanitario, che non sa quali lavoratori si siano vaccinati, organizzare in modo sicuro il lavoro.
Al momento non è dato sapere se questi lavoratori otterranno o meno il risarcimento, ma l’istruttoria è aperta e si attende la risposta dell’INAIL (che con ogni probabilità interpellerà preventivamente il Ministero della Sanità e del Lavoro).
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