ECCO PERCHE’ NON POSSIAMO PIU’ IGNORARE QUESTI ASPETTI NELLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO
A seguito della pandemia sanitaria nelle aziende italiane si è rapidamente diffuso l’utilizzo di nuovi strumenti per la comunicazione digitale, anche (ma non solo) per l’impiego maggiore del lavoro da remoto. Strumenti e metodi di lavoro che facilitano la permanenza del lavoratore per molte ore di fronte al pc.
Spesso, parlando del lavoro al videoterminale, ci si sofferma sui rischi legati alla vista o alle conseguenze sul sistema muscolo-scheletrico, cercando di mettere in pratica tutte le misure di protezione che riguardano la postura per evitare situazioni di “sovraccarico” a livello fisico.
Tuttavia, l’utilizzo continuo del videoterminale conduce anche ad uno stato di forte stress legato ad un elevato “carico di lavoro mentale”, che è stato anche definito “Zoom fatigue”, proprio per sottolineare una situazione di forte affaticamento cognitivo, che si sviluppa particolarmente durante i momenti di videoconferenza, per la necessità di mantenere un’elevata concentrazione sullo schermo per un periodo di tempo prolungato.
Tale affaticamento può avere origine anche da altri fattori: caratteristiche proprie dell’attività che si sta svolgendo (es. richieste del compito, tempi stretti, ecc.), condizioni generali dell’ambiente o della postazione di lavoro (es. illuminazione inadeguata sul pc, rumori ambientali, ecc.), senza dimenticare come questo continuo impegno mentale può anche rappresentare un rischio generale per la salute, in particolare a causa dell’impatto sul sistema cardiocircolatorio, dove si possono registrare aumenti di pressione o di frequenza cardiaca (vedi “Possibili disturbi da lavoro al VDT” – INAIL).
La fatica mentale non costituisce solo un problema di salute per il lavoratore, ma si traduce anche in una sua inefficienza operativa, in quanto può comportare una maggiore propensione agli errori, difficoltà di apprendimento, cali delle prestazioni e, nelle situazioni più gravi, il bisogno di allontanarsi psicologicamente dal lavoro per ripristinare una condizione di benessere.
Ecco perchè, viste le svariate ripercussioni del problema sulla salute del lavoratore e sull’efficacia organizzativa , tale criticità non può più essere trascurata nell’ambito della valutazione dei rischi, ma diventa essenziale valutarne la presenza nel proprio ambiente di lavoro, in modo da favorire una corretta progettazione dell’attività lavorativa, rispettando quei criteri di “ergonomia cognitiva” secondo i quali è il compito che deve essere pianificato attorno alle caratteristiche psicologiche dell’essere umano, e non quest’ultimo che deve adattare le sue risorse attentive, per natura limitate, a richieste eccessive del compito stesso.
Il momento più adeguato per effettuare la valutazione del carico di lavoro mentale diventa, dunque, quello della valutazione del rischio stress lavoro correlato, che dovrà necessariamente utilizzare strumenti e metodi di valutazione innovativi, che possano tenere in considerazione le caratteristiche peculiari di questo rischio emergente.
Non solo: metodi di valutazione che consentano anche di “leggere” in un’ottica sistemica le interconnessioni presenti tra i diversi fattori di rischio correlati al carico di lavoro mentale, come per esempio i ritmi di lavoro, gli orari, le attrezzature utilizzate e così via.
Ecco perché è importante, nella valutazione del rischio stress, affidarsi a professionisti esperti, che abbiano consolidate competenze nell’ambito dell’analisi psicosociale e dei contesti organizzativi e che possano guidare con efficacia i datori di lavoro nel progettare interventi utili a preservare il benessere delle persone e l’efficienza dei sistemi aziedali.
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